Centro Studi Naturopatici

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giovedì 3 marzo 2011

Antropologia dell'alimentazione


Se “l’uomo è ciò che mangia”, come affermò Feuerbach, esso è tale non solo per il filosofo ma anche per chi si occupa di biologia umana. Studi su popolazioni attuali, indagini paleoantropologiche e osservazioni in natura sui Primati documentano infatti in maniera sempre più chiara l’importanza dell’alimentazione nella storia naturale dell’uomo. L’alimentazione influenza, infatti, lo stato di salute e la costituzione fisica di una popolazione e ha giocato un ruolo non secondario nel corso della nostra evoluzione. Ma come è cambiata l'alimentazione della specie umana durante la sua storia? La domanda sembra di poca importanza ma in reatà sull'argomanto si sono sprecati fiumi di inchiostro. Ogni tesi è stata avvalorata da studi sui resti di ominidi per sostenere, a seconda della convenienza, che l'uomo è essenzialmente un animale vegetariano o al contrario che l'uomo è cacciatore per definizione. Con queste poche righe cercheremo di dire la nostra sperando di rimanere i più obiettivi possibile. Anche perchè questo tipo di valutazioni ci possono effettivamente suggerire quele sia l'alimentazione più adatta per un benessere duraturo. Tra i dodici e i quattordici milioni di anni fa (per gli studiosi l'epoca definita Miocene) un gruppo di primati che avrebbe in seguito dato origine all'Homo Sapiens popolava l'africa subshariana. Quei Primati vivevano raccogliendo sugli alberi il loro cibo, composto prevalentemente di frutti, oltre che di germogli, bacche, foglie, integrati da qualche insetto e verme che costituivano l'unica fonte proteica. Questo tipo di alimentazione è in grado di fornire circa 700 calorie per Kg sotto forma di zuccheri semplici come fruttosio e una buona quantità di vitamine fibre, sali minerali e acqua alimentare. Questo comportava che i nostri progenitori, pur mangiando grandi quantità di frutta, non assumessero mai più calorie di quante erano in grado di utilizzare giornalmente, condizione che caratterizza del resto tutti gli animali allo stato selvaggio che vivano in ambienti dal clima temperato. Ma circa due milioni di anni fa il clima africano divenne più secco e le foreste si ridussero notevolmente per far posto alle savane. Questo cambio climatico comportò una diminuzione degli alberi e dei relativi frutti e gli ominidi dovettero scendere dagli alberi e cercare i frutti del sottobosco, i semi delle praterie, principalmente graminacee,cereali, bulbi, rizomi e tuberi.Per arricchire la propria dieta di proteine iniziarono a raccogliere uova e a cacciare pesci,molluschi dei laghi salati e dei fiumi e animali o a nutrirsi dei resti di animali morti. Alcuni Ominidi, già 3,5milioni di anni fa, avevano superato un altro gradino dell’evoluzione con la comparsa della stazione eretta rendendo libere le mani per la raccolta del cibo e per l’uso di armi rudimentali di pietra per la difesa, per la raccolta di radici e per la caccia.Con il moltiplicarsi della specie, fu necessario per essi espandersi dalle foreste tropicali dotate di frutti per tutto l’anno verso terre con climi non più tropicali.Iniziarono così le grandi migrazioni.L’alimentazione che prima era essenzialmente vegetariana divenne parzialmente carnivora.Comparvero così nella alimentazione dei primi ominidii primi grassi alimentari ma certamente in quantità di pochi grammi al giorno. La comparsa nell’alimentazione della componente proteica, potrebbe aver determinato, secondo alcuni studiosi, la particolare evoluzione di quel ramo dei Primati, che nell’arco di oltre 6 milioni di anni ha portato allo sviluppo di una intelligenza superiore e di particolari tipi di comportamento dando luogo al ramo evolutivo che poi ha sviluppato l'Homo Sapiens. Contemporaneamente avvennero altre importanti evoluzione della specie, come la suddivisione delle diverse funzioni fra l’uomo cacciatore e la donna raccoglitrice, con funzioni di preparare il cibo, oltre che di assicurare la sopravvivenza della specie.Il miglioramento della alimentazione, con la dieta più varia e di diversa provenienza, determinò anche una grande crescita numerica degli ominidi e di conseguenza una rarefazione della selvaggina all’inizio del Pliocene; gli ominidi perciò furono costretti a migrare al seguito delle grandi mandrie di animali. L’Homo Habilis, con cervello più sviluppato, posizione eretta, mano prensile e capace di movimenti fini, invase la savana e, continuando a nutrirsi di vegetali, integrò con maggior continuità la dieta con carni di prede raccolte e sottratte ai carnivori. Ciò gli permise di sviluppare il cervello con le sue funzioni e grazie alla sua abilità manuale, una cultura grossolana degli utensili. La sua dieta divenne così equilibrata, onnivora composta di frutta, vegetali, carne e pesce, convantaggi per l’adattamento e la sopravvivenza.Dall’Homo Habilis deriverà l’Homo Erectus (da 1,8 milioni a 300.000 anni fa), che utilizzò il fuoco e perfezionò la lavorazione di strumenti di pietra, con un comportamento simile a quello degli attuali raccoglitori-cacciatori presenti in alcune zone isolate del pianeta.Esso rappresenta l’ultimo gradino prima dell’Homo Sapiens, l’attuale specie dominante. Con l'addomesticamento di alcune specie animali e con la necessità di ripari più sicuri nacque anche l’agricoltura che si affermò definitivamente in Medio Oriente tra gli 8000 e i 9000 anni a.C.,determinando profonde modificazioni del metabolismo umano. Come conseguenza di questo nuovo fenomeno , fu possibile all’uomo agricoltore allevare animali domestici adatti alla nutrizione che, vista la riduzione di importanza della caccia , integrarono la dieta delle proteine animali indispensabili al suo metabolismo. A conclusione di questo rapido viaggio nella storia dell’uomo e del suo sistema di nutrizione, considerando che l’uomo è comparso sulla terra circa 2 milioni di anni fa, si calcola che per il novanta per cento di questo periodo egli sia rimasto raccoglitore e poi cacciatore e solo negli ultimi 10.000 anni abbia cominciato ad addomesticare piante ed animali. E’ quindi possibile se non probabile che le ultime modificazioni della dieta introdotte dall’agricoltura e dall’allevamento degli animali, dalla cottura dei cibi e dal loro trattamento, dall’aggiunta del sale e da molte altre variazioni degli ultimi secoli abbiano indotto alterazioni del metabolismo non ancora assimilate dal nostro codice genetico e pertanto possibili fonti di malattie metaboliche e degenerative.Se continuiamo a seguire questo percorso logico, si può ritenere che ancora oggi l'alimentazione adatta alla specie umana sia una alimentazione prevalentemente vegetariana con l'introduzione di modiche quantità di fonti proteiche animali e che le fonti proteiche di origine animale dovrebbero essere a basso contenuto di grassi e presentare un rapporto corretto tra gli acidi grassi della serie omega 3 e omega 6, tipicamente presente nella selvaggina che conduce una vita attiva. La carne presente sulle nostre tavole è invece proveniente da animali che conducono spesso una vita sedentaria e alimentati con mangimi che aumentano i livelli di grassi omega 6 proinfiammatori e riducono la presenza di grassi omega 3. Per trovare una conferma scientifica alcuni ricercatori canadesi hanno codotto uno studio per valutare gli effetti sui grassi del sangue e sul peso di tre stili alimentari. Al primo gruppo hanno somministrato una alimentazione sovrapponibile a quella che i nostri progenitori assumevano durante il periodo Miocenico, ad un secondo gruppo quella del periodo Neolitico con l'introduzione dei cereali integrali coltivati e infine di una alimentazione attualmente utilizzata nelle iperlipidemie a basso contenuto di grassi saturi e alto di vegetali. Dopo due settimane di trattamento hanno evidenziato che il Colesterolo LDL, ritenuto responsabile dell'aterosclerosi era diminuito del 33% con l'alimentazione Miocenica, del 23% con l'alimentazione Neolitica e del 7% con l'alimentazione ipocolesterolemizzante attualizzata, con una proporzionale aumento del colesterolo HDL ritenuto importante per la prevenzione delle patologie cardiovascolari. L'alimentazione miocenica è risultata maggiormente efficace nel migliorare l'assetto lipidico nel sangue preservando l'organismo da molte patologie cronico degenerative.

lunedì 7 febbraio 2011

L’equilibrio acido-base secondo la Medicina Funzionale


La stabilità dell’equilibrio acido-base è condizione fondamentale e parte integrante degli scambi biochimici dell’organismo i quali avvengono soltanto in una zona limitata del pH al di fuori della quale qualsiasi forma di vita può scomparire. Il pH in medicina è l’unità di misura attraverso la quale si determina l’acidità, la neutralità e l’alcalinità di un liquido organico. Valori di pH pari a 7 corrispondono alla neutralità, valori inferiori a 7 indicano acidità e valori superiori a 7 indicano alcalinità/basicità. Un eccesso di ioni idrogeno nel corpo umano è causa di acidità. Molti processi metabolici che ci mantengono in vita, trasformando gli alimenti e l’ossigeno in energia, producono scorie acide. Queste ultime vengono eliminate tramite dei sistemi “tampone” che sono in grado di rimuovere piccoli carichi acidi attraverso i polmoni, il fegato, i reni e la pelle. Quando le quantità di scorie acide superano quelle che il nostro organismo è in grado di eliminare insorge l’acidosi tessutale, ovvero un sovraccarico di sostanze acide stoccate in alcuni tessuti, in particolare nella matrice extra-cellulare, in attesa di essere neutralizzate e/o smaltite .Nel campo della nutrizione e della salute, la conquista e la conservazione dell’equilibrio è oggi uno dei problemi più importanti. L’equilibrio acido/base è un concetto dinamico risultante di oscillazioni continue tra condizioni opposte. Nella attuale nostra condizione socio-ambientale la maggior parte delle persone presenta una condizione di costante acidosi che a lungo andare sfocia in malattie. La modalità più semplice per valutare l’acidosi tissutale è rappresentata dall’analisi del pH nelle urine. Questa rilevazione può essere effettuata con le strisce indicatrici del pH. La fascia bianca nella figura sopra riportata evidenzia i valori di pH fisiologici nel corso della giornata. Quando le misurazioni si discostano ripetutamente da questa curva, si è in acidosi tessutale.

Ore 6.00 L'urina è al massimo dell'acidità poichè nella notte avviene il recupero trofico nel nostro organismo ed il carico acido viene veicolato verso gli emuntori (rene)

Ore 9.00 2-3 ore dopo la colazione, nei soggetti sani, l'urina testata risulta leggermente alcalina.

Ore 12.00 poco prima di pranzo, il pH è leggermente acido, le sostanze basiche sono state immagazzinate come riserve alcaline o sono state utilizzate.

Ore 15.00 Il pH è alcalino.

Ore 18.00 Poco prima di cena il pH, nei soggetti sani, è leggermente acido.

Nelle attuali condizioni di vita (ambiente, cibo, distress ) il nostro sistema metabolico tende costantemente all’acidosi per cui l’organismo, i cui processi vitali hanno luogo se il pH è leggermente alcalino, deve costantemente contrastare questa tendenza acidificante attraverso:

1) l’eliminazione di acidi attraverso il rene, il polmone, la cute,
2) la modificazione della flora batterica intestinale,
3) l’utilizzo di sali minerali alcalinizzanti: calcio, potassio, sodio, magnesio.

Nel caso in cui i meccanismi di compenso non siano funzionanti oppure siano esauriti si attiva la cascata di reazioni che porta alle patologie funzionali a carico di molti distretti dell'organismo. Si possono manifestare : pirosi gastriche, dispepsia, sonnolenza postprandiale ma anche sintomi a carico della pelle come seborrea, eczemi e micosi o a carico del sistema nervoso con ansia cefalea palpitazioni. Spesso l'acidosi si associa alla presenza di dolori articolari o muscolo scheletrici e a osteoporosi. Anche il sistema endocrino può risentire del perdurare di una acidosi tessutale cronica e presentare disfunzioni tiroidee, alterata tolleranza glucidica e irregolarità mestruali. Per valutare la propria personale condizione si dovrebbero effettuare le misurazioni del pH delle urine per alcuni giorni, annotando l'ora della misurazione e il valore del pH. In caso di valori che si discostino notevolmente dalla curva ideale, è necessario modificare il proprio stile di vita:

1) aumentando l’assunzione di alimenti alcalinizzanti (frutta e, verdura) che dovrebbero rappresentare sempre una buona percentuale nel nostro cibo giornaliero.
2) assumendo almeno un litro e mezzo di acqua al giorno e riducendo il consumo di caffè tè e alcolici
3) aumentando l'attività fisica aerobica all'aria aperta e riducendo al minimo le situazioni in grado di produrre stress

Nel caso in cui non sia possibile modificare le condizioni ambientali e nutrizionali è importante alcalinizzare l’organismo con sali basici oppure con i sali di Schuessler.

Dal punto di vista nutrizionale la classificazione degli alimenti in acidificanti o alcalinizzanti viene fatta in base all’influenza che questi esercitano sul corpo e non in base alla propria acidità o alcalinità. Così molti alimenti che hanno un gusto “acido” (per esempio l’uva e gli agrumi) sono considerati alcalinizzanti perché, dopo essere stati metabolizzati, rilasciano un residuo alcalinizzante: gli acidi organici che influenzano le papille gustative vengono sciolti e trasformati in anidride carbonica e acqua, mentre i minerali residui servono a neutralizzare gli acidi organici. Questo vale per la maggior parte della frutta e della verdura nonché delle alghe. Gli unici alimenti vegetali acidificanti sono i mirtilli, le susine e le prugne secche. Lo zucchero e gli altri dolcificanti concentrati, gli amidi, i cereali, la farina i grassi e quasi tutte le proteine di origine animale sono acidificanti dopo essere stati metabolizzati. Le uniche eccezioni sono l’amido di patate e il latte crudo, a causa del suo contenuto di calcio. La pastorizzazione diminuisce il calcio disponibile nel latte, diminuendo quindi anche le sue proprietà alcalinizzanti. Il latte pastorizzato e i latticini possono essere perciò considerati alimenti prevalentemente acidificanti, un elemento che può contribuire alla diffusione della carie dentaria nei bambini. Possiamo perciò dire che gli alimenti alcalinizzanti tamponano quelli acidificanti. C’è inoltre un gruppo di alimenti che appartiene a una categoria separata perché possono produrre entrambi gli effetti: essi rendono l’acido meno acido perché contengono minerali e l’alcalino meno alcalino perché contengono proteine. Si tratta dei latticini e dei derivati dalla soia (panna, yogurt, latte, formaggi e tofu) che si associano bene sia ai cibi alcalini che a quelli acidi. A questo gruppo appartiene anche il burro, che è stato riconosciuto come un alimento neutro (né acido né alcalino).

Quando soffriamo di un eccesso di acidità, ci svegliamo con un forte gusto amaro in bocca. Per liberarcene, ci tuffiamo quasi automaticamente sul caffè o sul succo di arancia, che sono entrambi alcalinizzanti. Bisognerebbe interpretare il gusto amaro in bocca come un segnale di allarme che ci indica che il corpo ha un eccesso di acido. La prevenzione e il trattamento dell’acidosi cronica si può fare utilizzando, come già detto, i sali alcalinizzanti a base di bicarbonati o di citrati di calcio, sodio, magnesio, potassio, oppure assumendo i sali di Schüssler, combinazione di un acido con una base: sodio, potassio, calcio, magnesio, ferro, silica. I sali di Schuessler sono 12 e sono in diluizione omeopatica 6 DH. I sali di S. che possono essere utili nel ripristino della capacità tampone sono:

il cloruro di potassio (kali muriaticum)
il fosfato di calcio (calcium phosphoricum)
il fosfato di sodio (natrum phosphoricum)
il solfato di sodio (natrum sulphuricum)

sabato 27 novembre 2010

Benchmarks for training in naturopaty


Cari amici, con immenso piacere vi comunico che l’ Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) ha pubblicato con codice ISBN 978 9215996 5 8 le linee guida di riferimento per la formazione in naturopatia “Benchmarks for training in naturopaty”.
In questa pubblicazione sono indicate le materie di insegnamento e le ore di formazione che ogni persona ,intenzionata ad impegnarsi in questo delicato e appassionante lavoro, deve svolgere per conseguire il titolo di naturopata e potere esercitare con diritto questa disciplina. Un ulteriore passo in avanti per la definizione dei ruoli e delle prerogative della Naturopatia a livello mondiale che speriamo venga seguito da altrettanti passi in avanti a livello nazionale .

Riporto di seguito alcuni stralci significativi di questo importante documento per la naturopatia mondiale.

Introduction
As more people turn to complementary and alternative health care to meet their
various health-care needs, the use of naturopathic approaches continues to grow
in popularity (1,2,3). This document begins with a brief overview of the
naturopathic profession, including a discussion of terminology, followed by a
summary of the principles that inform naturopathic practice. It is recognized that
naturopathic practice may include additional roles, including the distribution of
naturopathic products. However, these additional roles are considered beyond
the scope of this document, which aims only to outline benchmarks for the
training of practitioners, considered adequate by the community of practitioners,
experts and regulators of naturopathy.
In general, naturopathy emphasizes prevention, treatment and the promotion of
optimal health through the use of therapeutic methods and modalities which
encourage the self-healing process – the vis medicatrix naturae. The philosophical
approaches of naturopathy include prevention of disease, encouragement of the
body's inherent healing abilities, natural treatment of the whole person, personal
responsibility for one's health, and education of patients in health-promoting
lifestyles. Naturopathy blends centuries-old knowledge of natural therapies with
current advances in the understanding of health and human systems.
Naturopathy, therefore, can be described as the general practice of natural health
therapies.
This document provides benchmarks for basic training of practitioners of
naturopathy; models of training for trainees with different backgrounds; and a
review of what the community of practitioners of naturopathy considers as
contraindications, so as to promote safe practice of naturopathy and minimize
the risk of accidents. Together, these can serve as a reference for national
authorities in establishing systems of training, examination and licensure which
support the qualified practice of naturopathy.
Benchmarks for training in naturopathy

1. Origin and principles of naturopathy
Many of the philosophical principles that underpin naturopathic practice can be
traced to the teachings of Stoicism in ancient Greece and the practice of medicine
in the Hippocratic schools. In addition to these ancient roots, naturopathic
practice emerged from an amalgamation of the philosophy, techniques, science
and principles that typified the alternative healing systems of the eighteenth and
nineteenth centuries, particularly those related to vitalism (4). These alternative
approaches tended to focus both on health promotion and on health-care regimes
that supported the patient’s innate healing processes.
Some of the founding influences that defined naturopathic philosophy and
practice include (5,6):
• the hydrotherapy techniques of Vincent Priessnitz (1799-1851) and Father
Sebastian Kneipp (1821-1897) in Europe, and John Harvey Kellogg (1852-
1943) in North America;
• the Thomsonian method of Samuel Thomson (1769-1843) that
foreshadowed physiomedicalism, from which some forms of modern
phytotherapy emerged;
• the nature cure methods of Dr Louis Kuhne (1823-1907), Dr Arnold Rickli
(1823-1926), and Dr Henry Lindlahr (1862-1924) that emphasized healthy
lifestyles, sunlight and fresh air, vegetarianism and detoxification;
• homeopathy, derived by Christian Friedrich Samuel Hahnemann (1755-
1843);
• the Eclectic school of medicine of Dr Wooster Beach (1794-1868), which
employed botanical medicines;
• the philosophy of vitalism, which maintained that the body has an innate
intelligence that strives constantly for health, so that the practitioner’s role
is to assist these efforts by cooperating with the healing powers of nature
active within the body;
schools of manipulative therapies, such as osteopathy, developed by
Dr Andrew Taylor Still (1828-1917), and chiropractic, developed by
Daniel David Palmer (1845-1913).
In Europe, the naturopathic approach to health care tended to evolve from the
hydrotherapy and nature cure practices that had been developed by Priessnitz,
Kneipp, Kuhne and Rickli. In North America, Dr Benedict Lust is described as
establishing naturopathy in 1902, deriving it from nature cure (7). Naturopathy
has been regulated in various regions of Europe and North America since the
1920s. The practice of naturopathy can vary widely, depending on the history of
its evolution, the legislation affecting its practice, and the demands of the public
for traditional medicine and complementary and alternative medicine
(TM/CAM) in the relevant jurisdiction.
From the mid-1960s into the 1980s, naturopathy enjoyed a renaissance as the
public in many parts of the world became disenchanted with so-called "western"
medical practices and more interested in holistic health-care practices that
Benchmarks for training in naturopathy emphasize healthy lifestyles as well as health promotion and disease prevention . Various modalities exist (see Box 1). As universities began to emphasize the need for credible research and scientific validation in every discipline and the demand for “evidence-based medicine” continued to grow, naturopathic practitioners continued their support for high academic standards and sound curricula to pursue the scientific confirmation of naturopathic methods. For instance, an international council for the accreditation of naturopathic colleges was established in North America (9) as well as a central agency to examine the graduates of naturopathic colleges (10,11). These efforts at formalizing and universalizing standards of naturopathic education and practice established new
benchmarks and intensified discussion concerning the identity of the profession.

Box 1 - Common naturopathic modalities (non-exhaustive list)
The following non-exhaustive list shows the modalities most commonly used in naturopathic practice:

• acupuncture
• botanical medicine
• counselling
• homeopathy
• hydrotherapy
• naturopathic osseous manipulation
• nutrition
• physical therapies (e.g. soft tissue massage, electrotherapy, etc.)

The principles that inform naturopathy can be summarized as follows:
• “first, do no harm”
• act in cooperation with the healing power of nature
• seek, identify and treat the fundamental cause of the illness
• treat the whole person using individualized treatment
• teach the principles of healthy living and preventive health care
While the emphasis placed on these principles can vary within naturopathy, each
version generally captures the same underlying philosophy and goals.

First, do no harm
Although a seemingly obvious statement that would be echoed by any healthcare
practitioner, the dictum attributed to the classical physician Hippocrates,
that physicians should “do no harm” to their patients, has specific resonance in
naturopathy. As in most health-care professions, investigative methods and
therapeutic modalities that do the least harm to the patient are preferred. When
other health-care approaches are required because of the patient’s illness,
naturopathic practitioners are trained to recognize this situation and to refer
patients to those who can provide the needed care (12).

Act in cooperation with the healing power of nature
The Stoics of ancient Greece believed that there was an animating principle, logos,
that acted as a vital force to order the universe. If humans used their rational
abilities to bring their behaviour into harmony with this order, they would
Origin and principles of naturopathy

flourish. Naturopathy, adopting this Stoic philosophy, recognizes that the same
power that made the body – i.e. an innate intelligence active both in the universe
and within the human body – would also heal the body unless prevented from
doing so. By working with this healing power of nature – i.e. working with the
vis medicatrix naturae of the patient – rather than trying to impose a treatment
without regard for the person’s own intrinsic ability to heal, the naturopathic
practitioner seeks to assist the body, mind and spirit of the patient to bring about
the desired healing (13).
Seek, identify and treat the fundamental cause of the illness
For every problem, there is a cause. Naturopathic practitioners are more
interested in seeking, identifying and treating the cause than in treating the
symptoms of illness. They argue that if the symptom of a disease is temporarily
eliminated or suppressed but the underlying cause is neglected, then the problem
will simply return, or could even worsen in the interim. The cause of illness must
be identified and eliminated if true healing is to occur. This often requires a
thorough examination of the patient’s lifestyle, diet and vital force (14).
Treat the whole person using individualized treatment
Naturopathic practitioners work with a holistic understanding of human health.
They recognize that humans are most likely to experience optimal health when
their physical, psychological, spiritual and environmental dimensions are
holistically integrated. People who exhibit integrated health are better able to
realize their goals and actualize their potential. They are more likely to be in
harmony within themselves, with others and with their environment. Because
each person is different, the naturopathic practitioner must individualize
treatments to meet the unique needs of each patient (15).
Teach the principles of healthy living and preventive health care
Naturopathic practitioners teach the principles of healthy living and preventive
health care. They teach patients the causes of illnesses so that the patients are
better able to avoid recurrences. Furthermore, patients should be involved in the
therapeutic process so that they can engage in their own recovery and learn to
take responsibility for their future health. This cooperative approach between the
practitioner and patient has been shown to empower the patient, which provides
further benefit. It is also more likely to engender a positive attitude in the patient,
which is believed to improve the chances of optimal recovery (16).
Benchmarks for training in naturopathy

2. Training of naturopathic practitioners
Regulating the practice of naturopathy and preventing practice by unqualified
practitioners requires a proper system of training, examination and licensing.
Benchmarks for training have to take into consideration the following:
• content of the training;
• method of the training;
• to whom the training is to be provided and by whom;
• the roles and responsibilities of the future practitioner;
• the level of education required in order to undertake training.
Naturopathy experts distinguish two types of naturopathic training in function
of prior training and clinical experience of trainees.
Type I training programmes are aimed at those who have no prior medical or
other health-care training or experience. They are designed to produce
naturopathic practitioners who are qualified to practise as primary-contact and
primary-care practitioners, independently or as members of a health-care team.
This type of programme consists of a minimum of two years of full-time study
(or its equivalent) of no fewer than 1500 hours, including no less than 400 hours
of supervised clinical training. Acceptable applicants will typically have
completed high school education or equivalent.
Type II training programmes are aimed at those with medical or other healthcare
training (western medicine, dentistry, chiropraxis, osteopathy, etc) who wish
to become recognized naturopathic practitioners. The learning outcomes should
be comparable to those of a Type I programme.
2.1 Learning outcomes of Type I programme
Graduates of the Type I programme have to be able to:
• provide a basic description of the principles and practice of the various
disciplines of traditional, complementary and alternative medicine;
• assess the health of their clients of all ages with skill and accuracy and to
communicate this information effectively to their clients;
• prescribe appropriate treatments involving naturopathic modalities used
in accordance with naturopathic principles;
• recommend traditional medicines for the purpose of treating and
preventing diseases and promoting health;
• prepare traditional medicines in accordance with pharmacopoeia
requirements and good compounding and dispensing practices;
• monitor, evaluate and adapt, when necessary, the naturopathic care of
each client;
• educate both clients and the public concerning the promotion of health
and the prevention of diseases;
Benchmarks for training in naturopathy
• refer clients to other health-care professionals when necessary and
appropriate;
• practise ethically and in compliance with the codes and guidelines of the
relevant professional organizations as well as the statutes, rules, laws
and/or regulations of the licensing or regulatory body.

2.2 Syllabus
The Type I programme includes four primary areas of study:
• basic sciences
• clinical sciences
• naturopathic sciences, modalities and principles
• clinical training and application.
Since some courses and disciplines overlap more than one of these areas, this
classification is merely intended to provide a simple categorization of the breadth
of courses that are studied.
Basic sciences include: anatomy, physiology, pathology.
Clinical sciences include: taking a patient history and clinical assessment;
physical examination; first-aid and emergency medicine; hygiene and public
health.
Naturopathic sciences, modalities and principles include: naturopathic history
and practice; nature cure; nutrition; hydrotherapy; botanical medicine;
homeopathy and tissue salts; Bach flower therapy; stress management and
lifestyle counselling; ethics and jurisprudence; optional courses (light and
electrotherapy; iridology; soft tissue therapies; aromatherapy; acupuncture).
Clinical training may include preceptorship and supervised clinical training.

2.3 Competency in botanical medicine
Competency in botanical medicine requires training in core naturopathic subjects
as well as specific botanical medicine subjects. All naturopathic practitioners
receive training in the use and compounding of medicinal plants. They are
knowledgeable in the identification, storage, compounding and dispensing of
herbal remedies. These practitioners should be able to identify the herbal
remedies that are most commonly used in their region and demonstrate
knowledge of pharmacognosy and good compounding and dispensing practices.
For each of these herbal medicines, they should be able to state the indications,
dosages, contraindications, potential adverse effects, toxicity levels and potential
interactions between herbal remedies, pharmaceutical products or foods.
Practitioners should comply with requirements for adverse-reaction reporting.
By the end of the training programme, students should have the competency in
the area of botanical medicines (6) and:
Training of naturopathic practitioners

• have a basic knowledge of botany; have an understanding of the
taxonomy and morphology of botanical medicines; be able to identify
botanical medicines, both growing and dried, relevant to their level of
practice;
• be able to classify plants according to their action – e.g. as astringents,
demulcents, diaphoretics, etc. – and relate the action of an individual
plant to the indications for its use;
• understand the pharmacological action of botanical medicines;
• know in detail the dosage range and toxicities of the botanical medicines
studied in their training programme;
• know in detail the contraindications and incompatibilities of the botanical
medicines studied in their training programme;
• be able to list potentially adverse botanical-botanical, botanicalnutraceutical,
botanical-pharmaceutical and/or botanical-food
interactions for the botanical medicines used in their practice;
• have awareness of the relative merits of simple and/or complex botanical
medicine preparations;
• have an understanding of good compounding and dispensing practices
appropriate to their level of practice;
• be able to report adverse reactions to the appropriate authorities

Table 1 - Indicative Type I training programme
Year 1
Anatomy
Physiology
Pathology
Naturopathic History and Practice
Nature cure principles
Toxicity, Detoxification, Cleansing
Hydrotherapy
Hygiene and public health
Psychology and stress management
First Aid, emergency care

Year 2
Anamnesis and clinical assessment
Fasting, diet, nutrition
Homeopathy & Tissue Salts
Herbology
Bach Flower Therapy
Light & Electrotherapy
Soft Tissue Manipulation
Preceptorship
Supervised clinical training

2.4 Type II programme
The Type I programme can be adapted to a Type II programme which is
designed to enable other health-care professionals to obtain additional
qualification as a naturopathic practitioner. Accordingly, the duration and
syllabus of the Type II programme will depend on prior education and
experience, and will vary from student to student. However, the duration should
be no fewer than 1000 hours, including no fewer than 400 hours of supervised
clinical training and the syllabus will be tailored to include any course content
from the Type I programme that had not previously been studied by the student.

3. Safety issues
The community of naturopathy practitioners recognizes a number of
contraindications associated with naturopathic modalities. These
contraindications may be associated with the modalities themselves rather than
the specifically naturopathic use of these treatments. As naturopathy includes
interventions from acupuncture, nutrition, physical therapies, counselling, and
other practices, it is not practical to provide a comprehensive list of
contraindications in this document. Instead, it is recommended that reference be
made to the guidelines of the relevant health-care practices regarding
contraindications to interventions also included in naturopathy. These may
include WHO and WHO Regional Office publications, such as the WHO
Guidelines on basic training and safety in acupuncture (17,18,19).
The foremost principle of naturopathy – primum non nocere – or “first do no
harm”, demands that naturopathic practitioners place patient safety first.
Properly trained naturopathic practitioners know the limitations of, and the
contraindications to, the products and modalities they use. For example, a
properly trained naturopathic practitioner will immediately refer a patient when
circumstances indicate that a patient’s safety and well-being will be put at risk if
that patient is not treated by a different health-care practitioner. Referral is also
indicated when naturopathic treatment is not likely to assist the patient or is not
producing the anticipated positive result.
Referral to other health professionals is specifically indicated when:
• a life-threatening situation occurs or is suspected;
• the diagnosis, assessment or treatment of a specific condition is not within
the scope of naturopathy;
• the diagnosis, assessment or treatment of a specific condition requires
expertise or technology that is not readily available to the naturopathic
practitioner;
• a diagnosis cannot be confirmed with the training and technology that is
available to the naturopathic practitioner;
• the response to treatment is not adequate, or inexplicably unsatisfactory,
or the patient’s condition deteriorates;
• a second opinion is desired.
Such referrals may reduce the risk of indirect adverse effects, which can occur
when an inappropriate treatment is administered; when proper treatment is
delayed or interrupted; when a misdiagnosis is made; or when naturopathic
therapies are used when not indicated.

sabato 13 novembre 2010

Reflusso Gastroesofageo e stile di vita


La malattia da reflusso gastroesofageo (MRGE) è una condizione clinica caratterizzata da reflusso di contenuto gastroduodenale nell’esofago con comparsa di sintomi in grado di interferire con la qualità della vita. I meccanismi fisiopatologici alla base alla base della MRGE sono molteplici ed
includono riduzione del tono dello sfintere esofageo inferiore (LES), transitori rilassamenti del LES, , alterato svuotamento gastrico e ridotta salivazione. I sintomi considerati tipici sono rappresentati dalla pirosi retrosternale (definita dal paziente come sensazione di bruciore che esordisce in corrispondenza dello stomaco o dalla porzione inferiore del torace e che risale verso il collo) e dal rigurgito (percezione di liquido con sapore amaro e acido all’interno della cavità orale),
sintomi la cui specificità per MRGE è pari all’89 e 95%, rispettivamente. Sintomi frequenti ma meno specifici sono l’odinofagia, la disfagia, le eruttazioni, l’ipersalivazione, il dolore epigastrico, il gonfiore, la difficoltà digestiva. Alcuni di questi sintomi caratterizzano la diagnosi di dispepsia funzionale. Fumo, abitudini dietetico-comportamentali (pasti abbondanti, cibi ricchi di grassi,
caffeina), farmaci, gravidanza e obesità possono esacerbare la MRGE. L’ernia iatale si accompagna frequentemente a MRGE e può contribuire alla prolungata esposizione al contenuto gastroduodenale, anche se circa la metà dei pazienti con MRGE non presenta ernia iatale. L’esposizione esofagea al contenuto gastroduodenale può causare danno della mucosa (esofagite) e talora complicanze quali ulcere (circa 5%), sanguinamento (2%) e stenosi (1.2-20%). L’esofago di Barrett (sostituzione del normale epitelio con cellule colonnari metaplastiche) è descritto nel 10% dei pazienti con prolungata esposizione al contenuto gastroduodenale, e può predisporre all’adenocarcinoma. Pazienti con reflusso gastroesofageo possono presentare manifestazioni definite “atipiche” o “extraesofagee” quali dolore toracico non cardiaco, asma bronchiale, tosse cronica, raucedine, globo faringeo, faringodinia, faringite, laringite, perdita di smalto dentario. La terapia, utilizzata in medicina tradizionale, fa abbondante utilizzo di farmaci anti H2 (ranitidina e derivati) o farmaci che bloccano la pompa protonica responsabile della produzione di acido cloridrico nel lume gastrico (omeprazolo e derivati). Questi farmaci, se da un lato contribuiscono alla riduzione dell'acidità gastrica e quindi al contenimento dei sintomi a carico della mucosa gastroesofagea, dall'altro possono provocare acidosi tessutale per la mancata produzione di bicarbonati e alterazioni importanti della fase digestiva con un peggioramento graduale della condizione clinica e la necessità al ricorso di dosi più elevate di farmaci. La naturopatia non cura la MRGE ma, piuttosto, si prende cura della persona affetta da MRGE ponendo l'accento sulle cause ultime del malessere e intervenendo su queste, indagando approfonditamente lo stile di vita e il terreno della persona e individualizzando il trattamento, che si baserà sull'utilizzo di rimedi capaci di agire sugli aspetti fisici, psichici ed emotivi che caratterizzano la MRGE di quella particolare persona. In tal senso è importante valutare se la MRGE debba essere interpretata come un segno di evoluzione diatesico-costituzionale oppure no e quindi attuare il conseguente specifico trattamento naturopatico di fondo. In linea generale, la naturopatia, in circostanze come queste, valuta innanzitutto la risposta infiammatoria del soggetto, l'eventuale distonia del sistema neurovegetativo e lo stile di vita della persona. In questo articolo ci soffermeremo in particolare sull'igiene alimentare e sullo stile di vita da consigliare alle persone affette da MRGE. E' infatti fondamentale un radicale mutamento dello stile di vita per poter ottenere risultati duraturi nel tempo, soprattutto se la MRGE si accompagna ad una ernia iatale. Per quanto riguarda l'alimentazione vi sono alcuni alimenti che, per la loro composizione, sono in grado di esacerbare i sintomi della MRGE. Tra questi ricordiamo :

Carne e pesce ad alto contenuto di grasso - in particolare gli insaccati e affumicati – formaggi, in particolare quelli fermentati , che, per il loro alto contenuto di grassi rallentano la fase digestiva e quindi favoriscono il reflusso gastroesofageo
Bevande alcoliche (soprattutto i superalcolici) Tè, caffè e bibite gassate che possono essere direttamente lesive della mucosa gastrica e , nel contempo, favoriscono la produzione di acido cloridrico.
Alimenti freddi in particolare se a stomaco vuoto come bevande ghiacciate, granite e gelati che possono provocare una reattività eccessiva della mucosa infiammata che si traduce in senso di nausea e vomito
Alimenti poco cotti
Frutta acidula come agrumi - limoni, mandarini, arance, cedro - melograno, ribes e ananas.
Vino bianco e aceto
Verdura come pomodori e succo di pomodoro, peperoni
Fritti e soffritti dovrebbero essere evitati
Dolci industriali in generale e a base di creme in particolare

La dieta più corretta potrebbe essere una dieta prevalentemente vegetariana e, quindi, alcalinizzante che contenga per il 75 % della sua composizione frutta e verdura sia cotta che cruda e per il 25% alimenti proteici selezionati per essere il meno acidificanti possibile. Alcuni suggerimenti possono essere i seguenti:
Succhi di frutta freschi e senza aggiunta di zuccheri, fatta ovviamente eccezione di quelli che contengono ingredienti acidi come gli agrumi
Verdure cotte quali carciofi, cavolo, patate, passati di verdura e minestre a base di verdura
Frutta di stagione cruda, meglio senza buccia, e cotta. Prediligere le banane
Consumare se pur in maniera moderata il latte preferendo però quello parzialmente scremato che grazie al suo contenuto alcalino ha come effetto positivo quello di contrastare e tamponare l'acidità tipica del reflusso.
Yogurt, anche per questo alimento ricordarsi di preferire sempre quelli a basso contenuto di grassi
Alimenti proteici a basso contenuto di lipidi come carni bianche, pesce magro, formaggi magri e non fermentati
Importante poi porre attenzione agli abbinamenti dei cibi in particolare evitare prodotti che contengono proteine con diversa provenienza come nel caso di uova e legumi oppure di carne e formaggi
Preferire sempre cotture leggere, scegliere quindi una cottura alla griglia purchè si presti molta attenzione a non bruciare parti dell'alimento, ottima la bollitura e le cotture saltate purché effettuate con poco olio e di qualità extravergine di oliva
Per la prima colazione vanno bene pane integrale fatto preferibilmente in casa, biscotti secchi (Enerzona) , marmellate senza aggiunta di zucchero (ditta Rigoni di Asiago) e miele.
Si possono inoltre fare alcune considerazioni finali di carattere generale
Quando si escludono abbinamenti come carne e formaggio ovviamente non ci si sta riferendo ad una spolverata di parmigiano od altra tipologia di formaggio.
E' importante effettuare molti piccoli pasti nell'arco della giornata evitando di abbuffarsi in quelli che da molti sono considerati i due pasti principali: il pranzo e la cena.
Altro consiglio molto importante è quello di consumare i propri pasti lentamente così da aiutare l'attività gastrica.
Attenzione alla forma fisica: il sovrappeso non aiuta anzi può peggiorare i sintomi.
Dopo un pranzo abbondante può essere buona abitudine quello di concedersi una breve passeggiata.
Per quel che riguarda invece la componente neurovegetativa, va detto che il reflusso si rinviene spesso in persone ansiose o comunque emotive. La secrezione acida nello stomaco dipende infatti dall’ipotalamo, molto sensibile agli effetti dello stress: nei soggetti stressati si è visto che lo stomaco, invece che i fisiologici 1-2 ml di acido cloridrico, ne produce fino a 50. Diventa essenziale quindi provvedere anche al riequilibrio della sfera psicoemotiva attraverso l'utilizzo di opportuni integratori, da valutare caso per caso, in grado di agire sui sintomi neurovegetativi evidenziati dall'anamnesi naturopatica e da una eventuale indagine iridologica. Tuttavia, anche i rimedi naturali adottati possono sì rappresentare un importante supporto, ma, come i farmaci, non devono diventare una facile soluzione che ci fa dimenticare di intervenire sulle cause. Durante la fase di assestamento dell'alimentazione devono essere considerati un supporto transitorio mentre è assolutamente indispensabile incominciare a cambiare stile di vita, imparando a mantenere quanto più possibile sotto controllo i propri livelli di stress e acquisendo buone abitudini, quali la pratica consuetudinaria di un'attività fisica e di tecniche in grado di riequilibrare la globalità del sistema corpo mente spirito, come esercizi di rilassamento, la meditazione, il tai qi chuan, il qi gong o lo yoga.

lunedì 18 ottobre 2010

Monomorfismo e Pleiomorfismo: il dibattito è aperto





La teoria dell'evoluzione, come è stata concepita da Darwin, conserva un ruolo centrale nella scienza moderna e parte dall'assunto che le diverse specie si siano sviluppate percorrendo una scala evolutiva che dai batteri porta ad animali più o meno complessi fino ad arrivare all'uomo che rappresenterebbe l'apice dell'evoluzione. L'evoluzione sarebbe quindi il frutto di una serie di adattamenti degli esseri viventi all'ecosistema che li ospita. In un certo senso anche il monomorfismo propugnato da Pasteur (1822/1895) e altri eminenti scienziati ha avvallato questa teoria. Pasteur sosteneva che il sangue dei mammiferi e i loro tessuti sono sterili, i patogeni che causano malattie provengono dall'ambiente esterno, ma, soprattutto che i microorganismi sono immutabili e ciascun microbo può causare una sola malattia. Il concetto che tipi di batteri immutabili causano malattie specifiche è stato ufficialmente accettato come il fondamento della medicina allopatica e della microbiologia verso la fine del 19º secolo in Europa e venne adottato dal complesso medico industriale, che iniziava ad affermarsi verso la svolta del secolo. Tuttavia, nello stesso periodo si stava sviluppando una teoria diametralmente opposta sostenuta da un altro scienziato: il Dr. Antoine Bechamp (1816/1908) che aveva accertato la presenza in tutte le cellule animali e vegetali di corpuscoli proteici che chiamò microzimi (ma chiamati anche somatidi ) che potevano sopravvivere alla morte dell'organismo e trasformarsi in microorganismi che causavano fermentazione e/o putrefazione. Tale teoria prende il nome di Pleiomorfismo o Polimorfismo . Il Dr. Antoine Béchamp fu uno dei primi batteriologi al mondo e, contemporaneo di Pasteur, fece grandi scoperte scientifiche. Tra le molte ricerche svolte possiamo ricordare che fu il primo a descrivere chiaramente il processo della fermentazione per quello che è: il processo di digestione di esseri microscopici. Fu il primo ad affermare che il sangue non è un liquido, ma un tessuto fluente e scoprì che i germi sicuramente sono il risultato, non la causa della malattia. Attraverso i suoi esperimenti ha mostrato che le caratteristiche vitali delle cellule sono determinate dal terreno in cui i microzimi si alimentano, crescono e si moltiplicano nel corpo umano. Sia le cellule normali che i germi hanno i loro compiti specifici. Le cellule organizzano i tessuti e gli organi del corpo umano. I germi puliscono il sistema e lo liberano dall'accumulo di materia patogena e mucoide. Inspiriamo costantemente circa 14.000 germi e batteri all'ora. Se i germi sono così nocivi, perché non moriamo? Le Teorie di Bechamp verranno riprese e approfondite qualche tempo più tardi da Gunther Enderlein (1872/1968) che sosterrà attraverso rigorose ricerche che la più piccola unità vivente non è la cellula ma una struttura proteica ,da lui definita Colloide(i microzimi di Bechamp), delle dimensioni inferiori a 0,2 micron ed invisibile al microscopio ottico ma evidenziabili attraverso il microscopio a campo oscuro. Da tale particella, al mutare delle condizioni ambientali nella cellula o nel tessuto ospite si possono formare esseri viventi che attraverso un ciclo prestabilito (Ciclogenia) possono mutare di forma ma anche di proprietà e divenire batteri o funghi ad alta valenza patogena. Un'altra importante scoperta del Dr. Enderlein è stata la scoperta di microorganismi da lui definiti Endobioni che vivono in simbiosi nel corpo di animali e uomini in grado di mutare da forma a bassa valenza patogena verso forma ad alta valenza patogena al mutare delle condizioni del Ph tessutale. La teoria che riprende in chiave moderna gli studi di Enderlein è definita Teoria dell'endosimbiosi seriale. Essa sostiene che gli organismi unicellulari ma anche piante, animali e l'uomo stesso, sono prodotti della Simbiogenesi cioè che gli organismi complessi si sono strutturati attraverso la fusione simbiotica di organismi più semplici. Secondo tale teoria il nucleo della cellula si sarebbe originato a partire dagli archebatteri, mentre la maggior parte delle strutture deputate al metabolismo cellulare sarebbe derivata da batteri termo-acidofili. Inoltre i mitocondri si sarebbero formati dalla simbiosi da batteri chiamati proteobatteri. A supporto di questa teoria Hugo Schanderl nel 1950 riuscì a coltivare in laboratorio batteri simbiotici a partire da mitocondri. Con l'evolvere delle tecniche di laboratorio si è potuto dimostrare l'esistenza nelle cellule del corpo umano di un gran numero di endobionti, presenti soprattutto come forme prive di parete (cell wall deficient form CWD dette anche L-Form) che non possono essere evidenziate con tecniche di analisi di routine. In particolare uno studio canadese del 1999 ha dimostrato la presenza di materiale genetico proveniente da Pseudomonas negli eritrociti di donatori di sangue sani. E' evidente che le teorie ancora oggi insegnate riguardanti la sterilità del sangue e dei tessuti umani sono da considerarsi superate. Esempi di pleomorfismo abbondano in microbiologia ma basti ricordare che nei primi stadi di infiammazione (formazione di pus,) i batteri presenti sono gli streptococchi ma man mano che i globuli rossi e i tessuti si disintegrano ulteriormente gli streptococchi si trasformano in stafilococchi , cioè cambiano in una forma adeguata al nuovo ambiente dei tessuti morti. Attraverso il pleomorfismo, (pleo = molti e morph = forma,) i batteri possono cambiare in lieviti, da lieviti a funghi, da funghi a muffe. I microrganismi come un batterio specifico, possono assumere più forme e cambiare le loro proprietà funzionali. Si può quindi sostenere che I batteri non hanno alcuna azione sulle cellule vive, solo sulle cellule morte e che non sono la causa della malattia ma il risultato. In molti casi di polmonite i pneumococchi appaiono sulla scena da 36 a 72 ore dopo l'insorgenza della malattia. Quindi ,secondo la teoria della simbiosi seriale, nel corpo microrganismi amici vivono in simbiosi che in condizioni normali aggrediscono le sostanze inquinanti, facendoci un favore nel mantenere pulito l'ambiente. Ne sono un esempio i funghi presenti nel nostro organismo che chelando i metalli pesanti li eliminano attraverso le feci.
Quando introduciamo nel corpo, tramite alimentazione scorretta o stili di vita stressanti, sostanze che il corpo non può utilizzare e che anzi lo intossinano con muco e altri prodotti di rifiuto, i microrganismi apatogeni (Endobionti a bassa valenza patogena) si moltiplicano nel tentativo di neutralizzare l'aumentata quantità di tossine ma ad un certo punto con il mutare delle condizioni ambientali (acidosi tessutale) possono anche mutare di forma e modificare la loro funzione fino a trasformarsi in endobionti ad alta valenza patogena in grado di scatenare vere e proprie patologie.
Queste patologie vengono affrontate somministrando farmaci che, per lo più controllano i sintomi reprimendoli e modificando così ulteriormente il terreno sostenendo l'acidosi e amplificando il processo di trasformazione degli endobionti. E' quindi il terreno cioè l'ambiente che circonda le cellule che determina la trasformazione del colloide in endobionti ad alta valenza patogena (virus – batteri e infine funghi) nel tentativo di ripulire il connettivo dall'accumulo di sostanze acide e tossiche. Il lavoro di questi microrganismi è quello di ripulire l'ambiente dei vecchi tessuti morti. I germi non sono in sé un problema, lo è l'ambiente in cui essi vivono. Se l'ambiente è acido essi proliferano e lavorano per ripulire il corpo. Se l'ambiente è alcalino le somatidi o colloidi fanno un loro ciclo vitale ripetitivo senza mai arrivare a trasformarsi in virus o batteri e funghi.
Le somatidi sono quindi la prima unità vivente, microscopiche forme viventi subcellulari in grado di riprodursi che troviamo nel sangue come pure nella linfa delle piante. Si sviluppano in un ciclo pleomorfico (con cambiamento di forma) di cui le prime tre fasi , somatide, spora e doppia spora , sono perfettamente normali e necessarie in un organismo sano, di fatto cruciali per la sua esistenza. Quando il ph del corpo diventa acido le somatidi estendono il ciclo pleomorfico fino a 16 fasi che segnano l'inizio, lo sviluppo e la continuità della malattia e la sua morte, se non avvengono dei cambiamenti dell'ambiente del connettivo in cui vive la cellula. Per risolvere la causa delle malattie degenerative bisogna perciò trattare l'ambiente interno in cui avvengono questi processi degenerativi. Questo ambiente è l'oceano che circonda ogni singola cellula. Il modo in cui questo ambiente diventa acido è tramite il consumo di proteine. Le proteine in eccesso vengono convertite in acidi forti dal corpo e questi acidi deprivano i tessuti e le ossa di minerali. Il bisogno di proteine del corpo è minimo. Il solo modo di rimpiazzare questi minerali e quello di mangiare più frutta e verdura e meno cibi che producono acido. Quanto sono acide la nostra saliva e la nostra orina ci dice quanto dobbiamo lavorare e per quanto tempo. Correggendo il ph, qualunque disturbo che ci affligga diminuirà in proporzione. Tutti gli organi e ghiandole del corpo collaborano per riportare e mantenere stabile il ph nei valori alcalini. La malattia è la manifestazione esteriore di questo lavoro di squadra degli organi interni. Una cura deve riportare il ph da acido ad alcalino, allora il corpo guarirà se stesso, altrimenti soccomberà. Ma per guarire è necessario nutrirsi con cibi alcalinizzanti ed ridurre quelli che rendono il corpo acido. In un ambiente biologico mantenuto alcalino è impossibile l'evolversi di malattie degenerative in quanto la degenerazione richiede un ambiente acido. Il corpo umano è un meccanismo completo, perfettamente funzionante e in grado di ripararsi da solo fino a quando una variabile perturbante (Noxa) non viene introdotto. Per ripristinare il perfetto funzionamento è sufficiente rimuovere la variabile. In questo contesto una variabile perturbante può essere un alimento inadatto, un farmaco, un vaccino, fumare, uno stile di vita sregolato, mantenere risentimento o odio ad oltranza, tanto per indicarne alcuni. Quindi solo un reale lavoro sul terreno permette il mantenimento dello stato di salute mentre l'approccio terapeutico, anche se olistico, serve solo a accelerare il processo di guarigione.

Nel Filmato che segue Il Dr.Gaston Naessens ci descrive il suo somatoscopio con cui ci mostra i somatidi a riprova di quanto scritto in questo breve articolo sull'argomento. Il dibattito tra monomorfismo e polimorfismo rimane aperto

Combattere L'acidosi tessutale con la Dieta Alcalinizzante


Dieta Alcalinizzante

La dieta alcalinizzante viene definita e utilizzata dalla Dottoressa Kousmine e ha lo scopo di ridurre l'acidosi tessutale e preservare un ambiente ottimale per la salute del nostro organismo. Qui di seguito viene riportato uno schema sommario

Il 75 % dell'alimentazione giornaliera deve essere scelta fra i seguenti cibi

FRUTTA: assumere di preferenza la frutta fresca. La frutta cotta è fortemente consigliata. La mandorla è la sola frutta secca a residuo alcalino. Si consiglia di assumere 5 mandorle secche al giorno.


VERDURA: l'assunzione giornaliera di verdura dovrebbe essere composta da almeno 4 porzioni tra verdura cruda e verdura cotta. Assumere verdura cruda e colorata come primo alimento durante i pasti principali in modo da creare un letto enzimatico ai cibi che seguiranno. Il condimento consigliato è composto da: succo di limone fresco e olio extra vergine di oliva e sale integrale. Tutte le verdure sono consigliate mentre sono da consumarsi in quantità minori le leguminose come:fagioli secchi, piselli, lenticchie.

SUCCHI : I succhi di frutta e di verdura fresca sono altamente consigliati.

ACQUA: bere almeno 1 litro e mezzo di acqua a basso residuo fisso al giorno.

Il rimanente 25% dell'alimentazione giornaliera deve essere scelta fra i seguenti cibi acidificanti:

CEREALI: tutti i cereali devono essere integrali. Il pane deve essere integrale. Il solo pane ammesso se si soffre di candidosi è quello con lievito di pasta madre al posto del lievito di birra]. Devono essere consumati moderatamente anche il riso integrale, la pasta integrale o il cous cous sempre. La farina bianca è assolutamente vietata in tutte le forme.

CARNI: sono consigliate solo le carni bianche private della pelle per circa 2 volte la settimana e non bisogna prendere porzioni superiori a 120 grammi al giorno.

PESCE: Le varietà di pesce a carne bianca e d'acqua fredda e salata sono preferibili. Il pesce fresco è preferibile ma anche quello surgelato è permesso. Circa 3 0 4 volte alla settimana.

LATTICINI: Solo i prodotti poveri in sodio (sale) e in grasso sono permessi. I formaggi devono essere freschi ma il latte e tutti i latticini, yogurt compreso sono vietati in caso di candidosi diagnosticata. I formaggi stagionati sono vietati. Non bisogna assumere prodotti caseari con gli agrumi. Inoltre ,in caso di eczema o di psoriasi, il latte di capra e di soia sono preferibili al latte vaccino.

UOVA: Le uova sono permesse 2 volte alla settimana e possono essere preparate in ogni maniera, ma mai fritte.

OLII: Gli olii permessi sono: olio extra vergine di oliva

CIBI da EVITARE:

1. Tutte le carni rosse

2. Tutte le solanacee: pomodori (salse e sughi), melanzane, peperoni , peperoncino; le patate bianche, la paprica.

3. Bevande gassate artificiali

4. Dolciumi, pasticcini, cioccolato, patatine, patatine fritte, pop-corn, e i vari cibi artificiali da aperitivo.

5. Tutti i cibi fritti.

6. Lievito e cibi lievitati. Soprattutto se il paziente presenta forme di micosi.


Ecco un esempio di settimana tipo di dieta alcalinizzante

Appena svegli: un bicchiere d’acqua con l’aggiunta di mezzo cucchiaino di Alkimo
Colazione: caffè d’orzo e macedonia, un bicchiere di latte parzialmente scremato o un yogurt bianco (Merano) con due cucchiaini di Marmellata (Rigoni)

Metà mattina: un frutto di stagione

Aperitivo: un succo di pomodoro o un centrifugato di carote e sedano o un bicchiere di Biotta succo di Breuss
A fine cena: una tisana fionocarbo (aboca)
Prima di dormire: un bicchiere d’acqua con l’aggiunta di un cucchiaino di Alkimo

Qui di seguito riporto una settimana tipo ma ognuno può costruirsi la proria alimentazione giocando di fantasia

Lunedì
Pranzo: insalata di lattuga, rucola, radicchio, pomodori e spinaci freschi in foglia, condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva e succo di limone, risotto con asparagi o altro vegetale, 40 grammi di riso integrale e brodo vegetale, 150 grammi di albicocche.
Cena: un piatto di minestrone, insalata mista condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva ed aromi a piacere, un hamburger di soia, 150 grammi di frutta di stagione.

Martedì
Pranzo: insalata mista condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva e succo di limone, 50 grammi di pasta integrale con pomodoro fresco e basilico, 150 grammi di frutta fresca di stagione.
Cena: vellutata di verdure senza sale con foglie fresche di menta e basilico, insalata a piacere mista condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva e succo di limone, 150 grammi di merluzzo al cartoccio, 150 grammi di frutta di stagione.

Mercoledì
Pranzo: insalata mista con lattuga e pomodori condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva ed aromi a piacere, un piatto di verdure al vapore con 40 grammi di pasta, 250 grammi di frutta di stagione.
Cena: vellutata di verdure senza sale con foglie fresche di menta e basilico, insalata a piacere mista con l’aggiunta di 100 grammi di tacchino o pollo cotto alla griglia con salvia e rosmarino, 150 grammi di frutta di stagione.

Giovedì
Pranzo: insalata di lattuga, rucola, radicchio, pomodori e spinaci freschi in foglia, condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva e succo di limone, risotto con asparagi, 250 grammi di frutta fresca .
Cena: vellutata di zucchine con menta o basilico fresco, un piatto di verdure alla griglia, 40 grammi di pane, 100 grammi di tofu condito con aromi e spezie a piacere.

Venerdì
Pranzo: insalata di lattuga, rucola, radicchio, pomodori e spinaci freschi in foglia, condita con un cucchiaio da tè di olio d’oliva e succo di limone, 40 grammi di pasta integrale al farro con zucchine stufate e pomodorini freschi, 150 grammi di frutta di stagione.
Cena: vellutata o minestrone di verdure di stagione, insalata mista a piacere, 80 grammi d’insalata di polpo con abbondante sedano, 4 albicocche, 150 grammi di albicocche.

Sabato
Pranzo: insalata mista a piacere con poco sale, succo di limone e un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva, passato di verdure con carote e patate, 250 grammi di albicocche.
Cena: 300 grammi di verdure al vapore condire con poco sale e un cucchiaio d’olio extravergine d’oliva, due hamburger di soia, 200 grammi di albicocche.

Domenica
Pranzo: insalata mista con patate lesse, carote, pomodori e scagliette di tofu, condita con poco sale e olio extravergine d’oliva, 250 grammi di albicocche.
Cena: minestra di verdura di stagione senza pasta, insalata mista a piacere, macedonia di frutta fresca di stagione.

martedì 10 agosto 2010

Alimentazione, Integrazione e Chemioprevenzione


Molti progressi sono stati fatti a partire dai primi anni novanta nella comprensione degli eventi cellulari e molecolari che stanno alla base della cancerogenesi. Si è potuto comprendere che la cancerogenesi è caratterizzata da un'espressione genica alterata che trae origine da modificazioni a livello del DNA attraverso un percorso estremamente lungo e complesso. Tale processo avviene attraverso molte fasi ognuna delle quali prevede una serie di cambiamenti cellulari. Questo comporta che solo dopo molti anni dalla prima alterazione genica il tumore diventi clinicamente identificabile. Una precisa conoscenza delle fasi di sviluppo dei tumori è necessaria per comprendere come l'alimentazione o l'integrazione nutrizionale siano in grado di modulare la risposta dell'organismo all'insorgere del tumore stesso. Le progressive modificazioni geniche che avvengono durante le fasi della cancerogenesi permettono alla cellula pretumorale di acquisire determinate caratteristiche che permetteranno, in seguito, l'acquisizione di vantaggi in termini di crescita e di sopravvivenza cellulare rispetto ai tessuti normali circostanti. Infatti i tumori non possono semplicemente essere considerati ammassi di cellule ma creano un microambiente tumorale costituito da cellule differenziate tra loro con la funzione di tramandare la linea cellulare tumorale. La prima fase della cancerogenesi viene definita come iniziazione e coincide con il primo danno al DNA cellulare dovuto all'esposizione della cellula ad un agente in grado di indurre questa prima mutazione. Se tale lesione non viene corretta o la cellula non viene eliminata sarà in grado di riprodursi in cellule figlie che potenzialmente potranno portare allo sviluppo di un tumore. Tuttavia l'iniziazione non è di per sé sufficiente per lo sviluppo del cancro. La cellula precancerosa deve andare incontro ad una fase di promozione attraverso la sua esposizione ad un agente che viene definito promuovente in grado di alterare il grado di proliferazione cellulare attraverso ulteriori danni al DNA. Infine avviene il terzo stadio della sviluppo della cancerogenesi, definito progressione, caratterizzato dalla migrazione di alcune cellule del tumore primario verso sedi o organi lontani attraverso il torrente circolatorio. Quest'ultimo stadio è responsabile del novanta per cento delle morti provocate da neoplasie. La relazione tra dieta e cancro è stata oggetto di un gran numero di ricerche che, pur evidenziando una correlazione certa, non sono state in grado di dare delle linee guida per quanto riguarda la chemioprevenzione condivise da tutta la comunità scientifica. Tale relazione infatti risulta assai complessa dato il numero di variabili presenti. Basti pensare che attraverso un regime dietetico si possono assumere più di 25.000 molecole bioattive in quantità variabili a seconda della provenienza del cibo ingerito, del metodo di produzione adottato e dei sistemi di conservazione e cottura subiti dal cibo stesso. Inoltre ogni singolo costituente dietetico è in grado di modulare tutta una serie di processi sia nelle cellule normali che in quelle tumorali e la risposta delle une e delle altre può essere molto diversa. Se ciò non bastasse diversi componenti della dieta sono in grado di modulare uno o più dei processi cellulari che caratterizzano un tumore assumendo un ruolo protettivo o, in alcuni casi, favorente lo sviluppo tumorale. Data la notevole complessità di tali relazioni rimane di primaria importanza sviluppare una strategia di prevenzione delle patologie tumorali che necessariamente dovrà essere multifattoriale. Un approccio naturopatico alla prevenzione delle patologie neoplastiche potrebbe essere il seguente:

1)Evitare l'esposizione agli agenti cencerogeni conosciuti
2)Potenziare i meccanismi di difesa dell'organismo attraverso il controllo dell'eubiosi intestinale
3)Ridurre l'acidosi tissutale
4)Modificare lo stile di vita per ridurre lo stress ossidativo a livello cellulare
5)Prevedere una adeguata integrazione chemiopreventiva

In particolare la chemioprevenzione consiste nel tentativo di inibire o quantomeno rallentare il lungo percorso che porta una cellula alla sua trasformazione in un tumore. Tale strategia si avvale dell'utilizzo di una corretta alimentazione e di una integrazione con fitoterapici bioattivi in grado di agire su una o più fasi di progressione tumorale. E' ormai accertato che una alimentazione prevalentemente vegetariana è in grado di fornire all'organismo tutta una serie di molecole che nel loro insieme risultano protettive nei confronti dei tumori. A tal proposito è interessante notare che il danno al DNA, lo stress ossidativo e l'infiammazione cronica, sono meccanismi comuni a tutte le patologie cronico-degenerative e che la prevenzione primaria contro i tumori è in grado di dare una risposta molteplice ai bisogni di salute. Il potenziale antitumorale di questo tipo di dieta ha mantenuto alta l'attenzione del mondo scientifico nei confronti dei componenti fitochimici presenti nelle verdure e nella frutta responsabili della chemioprevenzione. Tali molecole hanno strutture stereochimiche estremamente diversificate e per tale ragione sono in grado di esercitare i loro effetti protettivi attraverso diversi meccanismi d'azione che includono il blocco della proliferazione cellulare, l'induzione dell'apoptosi, l'inibizione dell'angiogenesi e l'inibizione della capacità metastasizzante. La proliferazione cellulare dipende dal perfetto bilanciamento tra segnali che stimolano la crescita cellulare e segnali inibenti. La maggior parte delle cellule normali si trovano in uno stato di quiescenza e, per rientrare nel ciclo di crescita cellulare devono essere opportunamente stimolate con fattori di crescita e disporre di spazio e adeguati livelli di nutrienti. Gli alimenti contengono una serie di modulatori della crescita cellulare che possono agire sia come promotori energetici di tale crescita, sia come coenzimi essenziali per la produzione delle proteine necessarie per tale crescita. Ne sono un esempio vitamine come la vitamina A la vitamina B12 o minerali quali il ferro e lo zinco. Altre sostanze complesse presenti nell'alimentazione sono invece in grado di bloccare la replicazione cellulare. Gli Isotiocianati che riscontriamo nella famiglia delle crucifere e molte altre molecole come ad esempio le Antocianidine, dei flavanoli presenti nei frutti di colore rosso o blu (ribes fragola uva ecc) risultano tuttora in fase di studio per le loro proprietà antitumorali legate alla loro capacità di bloccare la replicazione. Altre molecole sono invece interessanti per la loro efficacia nell'indurre il processo dell'apoptosi. Con il termine apoptosi si definisce un meccanismo di morte cellulare presente nel nostro organismo che controlla il numero di cellule rimuovendo quelle danneggiate ed impedendone la replicazione. Spesso le cellule tumorali acquisiscono delle mutazioni a carico dei geni che regolano l'apoptosi e possono pertanto eludere i segnali apoptotici. Numerose sostanze contenute negli alimenti e nei fitoterapici sono in grado di indurre apoptosi. Particolarmente interessanti risultano l'epigallocatechina gallato presente nel Tè verde e la Curcumina presente nella Curcuma Longa che a pieno titolo trovano posto nel protocollo di integrazione utilizzato nel Centro Studi Naturopatici. Il loro meccanismo d'azione è ancora oggetto di studio ma è ormai comprovata la loro efficacia in tal senso. In particolar modo l'epigallocatechina gallato è risultata efficace anche nel contrastare il processo dell'angiogenesi cioè quel meccanismo attraverso cui il tumore produce una propria vascolarizzazione per assicurarsi l'apporto di nutrienti e ossigeno necessari per la sua crescita. La conseguenza diretta di questa duplice azione dei fitocomplessi del Tè verde è il contrasto diretto nei confronti del processo di metastasizzazione del tumore. Altre sostanze interessanti sono gli isotiocainati ,già citati, e il Resveratrolo che tuttavia presenta gravi problemi di biodisponibilità. E' invece poco razionale cercare di ridurre lo stress ossidativo a livello cellulare ad opera di sostanze reattive a livello di membrana utilizzando sostanze antiossidanti come la vitamina C la vitamina E, Carotenoidi o Retinolo, perché la neutralizzazione delle specie reattive dell'ossigeno ad opera di queste sostanze possono ritardare o anche inibire l'apoptosi e favorire così la sopravvivenza delle cellule tumorali. Basandosi su tutte queste evidenze e sui numerosi studi effettuati il National Cancer Istitute ha identificato 40 piante edibili che contengono potenziali composti chemiopreventivi ma di questi solo alcuni sono in fase clinica. E' comunque importante comprendere che una qualsiasi strategia chemiopreventiva basata sull'uso di fitocomplessi deve tener conto della possibile esistenza di effetti tossici perchè l'effetto protettivo è temporaneo e per tale ragione la loro somministrazione è necessariamente continuativa. Per tale ragione il protocollo in uso nel CSN utilizza una serie di elementi da utilizzare in maniera sequenziale. É inoltre essenziale accompagnare qualsiasi protocollo chemiopreventivo con una alimentazione adeguata ed uno stile di vita salubre perchè solo questi elementi assicurano nel tempo una strategia efficace nel contrastare tutte le patologie cronico – degenerative.